Secondo i dati più aggiornati, si stima che in Italia oltre 3 milioni di persone soffrano di disturbi del comportamento alimentare, tra cui l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata. La bulimia nervosa rappresenta circa il 17,9%dei casi di disturbi alimentari diagnosticati e trattati (https://www.sanitainformazione.it/salute/disturbi-del-comportamento-alimentare-il-6-ha-meno-di-12-anni). E’ quindi di fondamentale importanza diffondere informazioni corrette sul disturbo che facilitino la richiesta di aiuto e l’accesso a percorsi di cura adeguati.
Ciao, sono la dott.ssa Marta Ferrari, psicologa e psicoterapeuta del team di Psicologia Sana e in questo articolo ti racconterò il caso di Alice, una ragazza affetta da bulimia nervosa che si è rivolta a me per costruire insieme la strada verso la sua guarigione.
Come guarire dalla Bulimia nervosa: il caso di Alice
“Sono a casa da sola, di nuovo…senza rendermene conto mi accorgo di essere in cucina, al buio. Ho davanti una confezione di biscotti, una di merendine, il barattolo della nutella. Sono tutti vuoti. A me sembra di essermi risvegliata da un brutto sogno, un raptus. Non ricordo come sono arrivata lì, non ricordo di aver mangiato tutte quelle cose, sento solo un forte dolore allo stomaco, mi sembra stia per esplodere. Ma ancora più dolorosi sono la mia vergogna e il mio senso di colpa, per essere ancora lì”.
Alice mi racconta così la sua ultima abbuffata, una della tante alle quali è ormai abituata. Sono molti mesi che soffre di bulimia nervosa, un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da:
- Abbuffate: episodi in cui la persona mangia una quantità di cibo eccessiva in un periodo limitato di tempo. Durante questi episodi la persona ha la sensazione di perdere il controllo, ovvero sente di non riuscire a fermarsi.
- Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso (vomito, digiuno, attività fisica eccessiva, lassativi, diuretici)
- I livelli di autostima sono fortemente influenzati dal peso e dalla forma del corpo
Chi soffre di bulimia nervosa spesso ricorre al cibo per gestire le proprie emozioni spiacevoli: ansia, tristezza ma anche noia e solitudine. Il cibo sembra essere in quei momenti l’unico strumento in grado di placare, anche solo per pochi minuti, queste ondate emotive che sembrano essere ingestibili.
Per Alice la solitudine e i pensieri a essa collegati sono una miccia che attiva questo meccanismo che ormai le sembra più forte di lei.
Tutto è iniziato con il desiderio di perdere qualche chilo, rimettersi in forma per piacersi di più.
“I primi mesi sono stati belli. Riuscivo a controllarmi. Mi sentivo brava perché riuscivo a decidere di resistere, di non mangiare. In quel periodo mi sembrava che nulla stesse andando come avevo previsto: l’Università, il rapporto con il mio fidanzato. Ho pensato che dimagrire potesse essere un inizio, un punto di partenza per riprendere il controllo sulla mia vita”.
Molto spesso la decisione di aderire a regimi alimentari fai da te, molto rigidi e restrittivi, ovvero che prevedono l’eliminazione di intere categorie di alimenti (di solito i carboidrati) rappresenta una soluzione che la persona decide di adottare per affrontare le difficoltà del momento. L’illusione di poter controllare il nostro peso, la forma del nostro corpo e dominare la nostra fame unita a una bassa autostima e al desiderio di fare tutto alla perfezione, possono rappresentare dei fattori che predispongono allo sviluppo di un disturbo alimentare.
Le fasi della bulimia
È così che si innesca quello che viene definito il circolo vizioso del dieting:
Chi soffre di un disturbo alimentare tende a giudicare se stesso, il suo valore soprattutto in base alla sua capacità di controllare l’alimentazione, il peso e la forma del corpo. Questo modo di valutarsi, di pensare: “Vado bene, valgo, solo se so controllarmi, se ho un certo aspetto fisico” porta a sperimentare una grande preoccupazione e insoddisfazione per il corpo e per il peso. Per placare queste preoccupazioni si decide di adottare delle diete ferree, piene di regole rigide e estreme, generalmente finalizzate a un dimagrimento.
Seppure in un primo momento queste diete possono dare un risultato in termini di perdita di peso, il problema si verifica nella fase di mantenimento. L’adesione a regole così precise e così rigide in merito a cosa, quanto e quando mangiare richiede un impegno costante e un crescente senso di deprivazione. Sì, perché la tendenza è quella di eliminare in modo netto e senza se e senza ma tantissime tipologie di alimenti, spesso quelli che preferiamo o quelli che più tipicamente ci troviamo a mangiare in compagnia. Questa disciplina autoimposta a lungo andare crea un senso di deprivazione fisiologico (il nostro corpo ha bisogno di tutti i macronutrienti per poter funzionare bene) ma anche psicologico, con un relativo aumento della pressione a cedere.
Forse è proprio questa pressione sempre più difficile da gestire che porta le persone ad avere la sensazione di argini che si rompono e di essere animati da un fiume in piena che porta alla perdita di controllo e all’abbuffata. Inizia tutto con delle piccole trasgressioni che non incidono sul bilancio energetico e, soprattutto, che non sono direttamente proporzionali al valore di una persona. Purtroppo però cercare di aderire in modo perfezionistico a queste regole porta le persone che presentano una vulnerabilità per un disturbo alimentare a vivere le trasgressioni come un’irrimediabile perdita di controllo e, in ultima analisi, la cartina tornasole delle nostre capacità, uno specchio in cui vedere riflesso il nostro senso di fallimento.
“Dopo qualche mese di dieta, avevo perso parecchio peso ed ero contenta, o almeno avrei dovuto esserlo. In realtà se da un lato vedere quel numero che scendeva mi rendeva soddisfatta, dall’altro non era mai abbastanza. Così un giorno, dopo una brutta litigata con il mio ragazzo, mi sono ritrovata a pensare “ma si, cosa vuoi che sia se per oggi mangio qualche biscotto” e in un attimo ho sentito la mia mano che toccava il fondo della confezione e delle lacrime sul mio viso. Ero arrabbiata, triste, mi sembrava che nonostante tutti i miei sforzi, tutto il mio autocontrollo, le cose facessero comunque schifo. E allora? Che senso aveva tutto questo impegno se tanto poi nulla cambiava, se io non cambiavo?”.
Iniziano così le abbuffate di Alice, la cui frequenza aumenta spaventosamente. Per cercare di placare il suo senso di colpa e di fallimento dopo le abbuffate, Alice ricorre sempre di più al vomito per cercare di “rimediare”. È una credenza comune, infatti, che tramite il vomito si possano eliminare le calorie assunte. In realtà, i dati ci dimostrano che questa credenza non solo è fisiologicamente scorretta (i dati ci indicano che si eliminano circa la metà delle calorie) ma è anche un potente fattore di mantenimento, perché dà l’illusione di poter sempre rimediare al danno fatto, non capendo che i danni provocati dal ricorso frequente al vomito sono molti di più e molto più gravi rispetto a un mero conteggio di calorie.
Vedo Alice dopo quasi un anno dall’inizio del suo personale calvario, quando ormai le abbuffate sono quasi all’ordine del giorno e la sua vita si è focalizzata solo sul cibo e sui pensieri, ormai ossessivi, che lo riguardano.
Alice non si chiede più se abbufferà, ma solo quando questo avverrà. Al momento della prima visita è triste, sconsolata, sconfitta, pensa che ormai non ci sia più niente da fare. Si sente condannata a essere “una che non sa controllarsi”. È difficile per lei anche far capire agli altri la gravità della sua condizione, in parte perché si vergogna moltissimo di tutti quei pomeriggi passati ad abbuffare ed è per questo che tende a farlo in solitudine e di nascosto, in parte perché anche perché il suo aspetto fisico non segnala il suo dolore. In presenza di bulimia nervosa infatti si tende a mantenere un normopeso, dato che consente a un occhio distratto di non accorgersi del problema.
Così come indicato dalle linee guida per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione decidiamo quindi di associare al nostro percorso un percorso nutrizionale, in modo che Alice possa essere gradualmente rieducata ad adottare uno stile alimentare sano e che tenga conto di tutti i suoi bisogni. La presenza di una guida e ricevere delle corrette informazioni anche dal punto di vista alimentare è un passo fondamentale per la guarigione.
Durante i primi colloqui di psicoterapia Alice ha modo di sentirsi finalmente accolta, scopre di avere uno spazio, un luogo e una persona a cui raccontare come sta, senza giudizio e senza paura. Il primo obiettivo è quindi quello di motivarla a intraprendere questo percorso, a fare tutto ciò che è necessario per guarire. Questa fase della terapia è fondamentale per aiutare le persone che soffrono di un disturbo alimentare a diventare gli attori protagonisti di questo viaggio, che hanno deciso di intraprendere e che faremo insieme. Cambiare certi automatismi sarà difficile ma è possibile, anche perché stiamo agendo tempestivamente. Durante il nostro percorso non ci focalizzeremo tanto sulle origini del disturbo, non ci interessa capire se è “colpa” dei genitori, dei compagni di scuola o di Alice, non esistono colpe e non è utile cercarle. Quello che ci importa è aiutare Alice a comprendere come le abbuffate la aiutino a gestire delle emozioni, delle situazioni difficili che pensa di non poter gestire diversamente. È così che nel corso dei mesi non solo durante la terapia aiutiamo Alice ad acquisire maggiore consapevolezza su come mai si comporti in un certo modo, ma anche costruiamo insieme delle alternative. Nessuno di noi lascerebbe una strategia, seppur disfunzionale se non ne avesse un’altra con cui sostituirla. Tutto ciò si fa insieme, paziente e terapeuta ed è per questo che utilizzo il “Noi” che è già un primo atto di cura.
Psicoterapia per la bulimia nervosa
La psicoterapia cognitivo comportamentale si focalizza su diversi fattori di mantenimento del disturbo, in modo da eliminare le architravi che lo sostengono (le abbuffate, il ricorso al vomito, il sentirsi grassi, ecc…) e per farlo richiede una collaborazione attiva da parte del paziente. Terapeuta e paziente devono diventare due compagni di viaggio e l’obiettivo è che il paziente diventi il massimo esperto del suo problema, perché nessuno lo conosce meglio di lui. Per aiutare Alice ad acquisire maggiore consapevolezza le chiedo di svolgere dei piccoli compiti a casa, di compilare alcune schede che le consentano di conoscere sempre meglio il suo problema e di avere sempre più canali e strategie per trovare una soluzione. Questi esercizi aiutano Alice a portare fuori dalla stanza di terapia quello su cui abbiamo lavorato, in modo che diventi sempre più autonoma. Gradualmente Alice impara a valutarsi su altri domini: il disturbo l’ha portata a ritirarsi, a non frequentare più nessuno e a non coltivare più i suoi hobby. È fondamentale invece che si sperimenti, che si riscopra brava e competente in tanti altri aspetti della sua vita: lo studio, le relazioni, gli interessi. È rischioso infatti ricavare il nostro valore da un unico aspetto della nostra vita, come il nostro peso o la forma del nostro corpo. Ci porta gradualmente a dimenticare che siamo persone e non solo numeri su una bilancia.
Ad oggi Alice ha ridotto di molto la frequenza delle sue abbuffate. Ci sono ancora dei momenti di crisi, in cui pensa che sarebbe più facile buttarsi sul cibo. Ma ha chiara la sua meta, è forte il suo desiderio di voler stare bene e di riprendere in mano la sua vita e costruire il futuro che si merita. Non è più disposta a rimandare, a mettere da parte i suoi bisogni e i suoi desideri, anche perché ha fatto tanta fatica per imparare ad ascoltarli.
“Spesso quando mi sento uno schifo, penso che non merito l’affetto di nessuno, penso che sarebbe tutto più facile se continuassi a essere malata. Per degli attimi penso che non importerebbe a nessuno, che mi merito di stare così male perché in fondo me lo sono cercato. Poi però faccio un respiro profondo, penso a quanto questi pensieri facciano parte della malattia e a quanti progetti e desideri io abbia per il mio futuro. Mi alleno ad abbassare il volume di questa radio catastrofica e distrutttiva che ogni tanto prende il sopravvento nella mia testa e mi ricordo che voglio stare meglio di così, che voglio prendermi cura di me”.
Alice è ancora in cammino, non sa dire quando giungerà alla meta. Ma non è sola e insieme la fatica di questo viaggio sarà condivisa. La terapia l’ha aiutata a riconoscersi un valore unico e indiscutibile. Sa che non sarà sempre felice, che non eliminerà i momenti di difficoltà dalla sua vita, ma adesso si pensa capace, si dà la possibilità di credere in se stessa e nelle sua capacità di affrontare quanto le capiterà.
Se anche tu ti riconosci in Alice o conosci qualcuno che abbia bisogno di aiuto, non esitare a contattarci.
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